Sai qual è la più pericolosa fonte di inquinamento? La risposta che nessuno si aspettava

Quando si parla di inquinamento, si tende a sottovalutare la maggior parte delle filiera produttiva. Eppure, un nuovo studio ha posto l’attenzione su un aspetto mai preso davvero in considerazione. 

Siccità, razionamento dell’acqua e inflazione sono temi ormai con cui abbiamo imparato a familiarizzare. Eppure, considerarli come tre problemi distinti e separati significa non valutare correttamente la complessità del problema che stiamo vivendo. Inquinamento e globalizzazione, infatti, sono due facce della stessa medaglia. E anche mangiare significa inquinare, se non si sceglie un’alimentazione a km 0.

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Fonte: Canva

La maggior parte dei prodotti che finiscono sulla nostra tavola, infatti, provengono anche da luoghi molto lontani, esotici e che a stento sappiamo pronunciare. Se da una parte costituisce un bene, avvicinandoci al resto del mondo, dall’altra, invece, implica affrontare costi di trasporto non indifferenti.

Banane, pomodori, avocado e tagliate di carne direttamente allevate nelle pampas argentine di certo non arrivano da sole al supermercato. Portare fin qui alcuni prodotti, in altre parole, significa solo inquinare e produrre CO2. Insomma, quando si parla di inquinamento, si tende a sottovalutare la maggior parte delle filiera produttiva. Eppure, un nuovo studio ha posto l’attenzione su un aspetto mai preso davvero in considerazione.

Il lato nascosto del cibo: quando l’inquinamento è una questione di trasporto

Mango, avocado, platani e noodles sono solo alcuni dei cibi esotici che hanno arricchito la nostra dieta. Tuttavia, consumare questi prodotti significa produrre il 30% delle emissioni globali, come ha dimostrato un recente studio pubblicato su Nature Food. Il trasporto, più della stessa produzione, ha un impatto devastante sull’ambiente.

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Il team di ricerca per stabilire quanto sia inquinante trasportare merci provenienti dall’altra parte del mondo, hanno preso in considerazione la cosiddetta “food miles“, cioè la distanza che c’è tra le nostre tavole e quel determinato prodotto alimentare. Come riportato dal magazine “Ohga!”, lo studio è arrivato alla conclusione che “il trasporto globale di merci associato al consumo di frutta e verdura contribuisce al 36% delle emissioni di chilometri di cibo, quasi il doppio della quantità di gas serra rilasciati durante la loro produzione”.

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Ma non solo. Il trasporto di cibo globale contribuisce quasi al 20% delle emissioni totali di tutto il comparto alimentare. Per porre la questione in numeri, in un solo anno sono state prodotte 3 miliardi di tonnellate di emissioni di CO2. La soluzione sarebbe optare per frutta e verdura a km0 che costano anche di meno, proprio perché manca parte della filiera produttiva che fa lievitare il prezzo finale di vendita.

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